Caso Nicastro, ecco come la procura è arrivata a contestare ritardi e omissioni
Potenza. E’ stata la seconda perizia disposta dalla procura di Potenza sui presunti ritardi e omissioni nella gestione del caso di Antonio Nicastro, il blogger potentino di 67 anni stroncato dal Covid il 2 aprile del 2020 dopo aver invocato per settimane un tampone, a fare da ago della bilancia per le decisioni del procuratore Francesco Curcio e l’Aggiunto Maurizio Cardea che hanno chiuso le indagini contestando, a vario titolo, il reato di rifiuto in atti d’ufficio e omicidio colposo a sei persone relativamente ai ritardi nell’effettuazione del tampone e a quelli connessi al mancato ricovero dopo la visita in primo soccorso. La prima consulenza, infatti, non aveva evidenziato responsabilità mediche in relazione all’assistenza pre e post positività garantita a Nicastro, ma puntato il dito sulle linee guida della Regione Basilicata che non erano allineate alle direttive nazionali.
A spingere la procura di Potenza a disporre un secondo accertamento peritale sull’accaduto sono state sicuramente anche le risultanze della perizia di parte depositata nell’autunno del 2020 dagli avvocati Giampiero Iudicello e Danilo Leva, i legali della famiglia Nicastro: il consulente di parte (il professor Nicandro Buccieri), oltre a condividere i rilievi sulle linee guida della Regione Basilicata mossi dai periti della procura, aveva evidenziato anche una serie di elementi più strettamente connessi all’assistenza medico-sanitaria ricevuta da Nicastro che meritavano ancora di essere approfonditi. Abbiamo raggiunto telefonicamente l’avvocato Iudicello: ”In attesa di prendere visione di tutti gli atti possiamo dire di aver sempre pensato che nella vicenda che ha portato al decesso di Antonio Nicastro ci fossero stati ritardi e omissioni e tanti punti ancora da chiarire. Ed è per questo che non ci siamo fermati e abbiamo deciso di andare avanti in questo percorso per arrivare alla verità. Vedremo quali saranno ora le ultime valutazioni della procura in merito all’eventuale richiesta di rinvio a giudizio e, a quel punto, la valutazione del giudice sulle condotte contestate”.
Tra gli indagati per il filone che riguarda esclusivamente il caso Nicastro spiccano i nomi del direttore sanitario dell’Asp, Luigi D’Angola e del direttore facente funzione dell’Unità Operativa Complessa di Igiene e Sanità Pubblica, Michele De Lisa, nei confronti dei quali la procura di Potenza ha deciso di archiviare l’accusa di concorso in omicidio colposo, ma di confermare quella di concorso in rifiuto in atti d’ufficio per non aver tempestivamente sottoposto al tampone Antonio Nicastro che da giorni presentava sintomi compatibili con il Covid, dando altresì il via libera negli stessi giorni all’effettuazione di tamponi su ”soggetti asintomatici e talvolta privi di link epidemiologici”. Con la loro condotta, D’Angola e De Lisa, secondo l’accusa, avrebbero contribuito a ”pregiudicare una rapida esecuzione degli accertamenti diagnostici che avrebbero potuto evidenziare la patologia da cui era affetto il paziente e conseguentemente garantire l’integrità fisica dell’ammalato sottoposto alla loro supervisione sanitaria dalle direttive Ministeriali e aziendali in materia di Covid-19”. Il punto centrale, per la procura, è da ricercare nel mancato ricovero di Nicastro quel 13 marzo: il dirigente medico del pronto soccorso in servizio quel giorno, Silvana Di Bello, è infatti accusata di responsabilità colposa per morte in ambito sanitario. Secondo il procuratore Curcio e l’Aggiunto Cardea avrebbe ”omesso di espletare o far espletare d’urgenza esami diagnostici a Nicastro Antonio presentatosi con tosse e febbre persistente…e lo dimetteva dopo pochi minuti con la diagnosi di ”febbre e tosse”, omettendo di segnalare il paziente al reparto di Malattie Infettive”. L’accusa di rifiuto in atti d’ufficio riguarda anche Nicola Manno, dirigente dell’Uoc Igiene e Sanità Pubblica dell’Asp: ”incaricato di effettuare la valutazione clinica telefonica sul conto del paziente Nicastro Antonio – scrivono i pm – ometteva di effettuare quotidianamente tale valutazione, rifiutando indebitamente di compiere atti che per ragione del suo ufficio dovevano essere compiuti senza ritardo”. Tra gli indagati per concorso in rifiuto in atti d’ufficio figurano anche due infermiere: Carmelina Mazza e Maria Tamburrino in occasione delle due telefonate al centralino del 118 non avrebbero disposto il trasferimento di Nicastro con accesso diretto al reparto di Malattie Infettive.
Fonte: La Nuova del Sud